Carissimi fratelli e sorelle,
guardiamo tutti insieme il pozzo di Giacobbe; vediamo Gesù stanco del viaggio che sedeva presso il pozzo. Gesù è l’incarnazione dell’amore del Padre e nutre per l’uomo tutto l’amore possibile.
Gesù è vero Uomo poiché assume in sé la natura umana per portarla a compimento nella propria persona di Figlio di Dio. In quanto vero uomo, Cristo può essere stanco, affaticato dal viaggio, proprio come ognuno di noi può sentire la stanchezza del vivere.
Parlo a persone che hanno pressappoco la mia età, più o meno (di giovani ce ne sono pochissimi); e tutti quanti sperimentiamo ogni tanto il peso che abbiamo sulle spalle degli anni che sono passati e sovente diciamo “Sono stanco, mi sento stanco”. E’ la stanchezza della vita.
L’immagine di un Gesù stanco è consolante per noi che spesso ci sentiamo pervasi da una stanchezza tanto grande che ci impedisce di vivere, di lavorare; ci impedisce perfino di pregare. Questa sensazione può far nascere degli scrupoli, ci sentiamo deboli e pigri e ci domandiamo se il Signore nella preghiera ci ascolterà. Ci sembra di essere distratti, ci pare che il nostro cuore sia come intorpidito, che la fantasia prenda il sopravvento sulla volontà, cosicché i nostri propositi di incontrarci con il Signore, di pregare, sembrano svanire.
Qualche volta ci accorgiamo che la Messa è finita e diciamo “E’ già finita la Messa, ma io, io, con la mente, con il cuore, dove sono stato?”.
Abbiamo l’impressione che la nostra preghiera sia fragile, incerta, che il nostro dialogo con Dio sia impedito proprio dalla nostra stanchezza.
E invece il Signore ci capisce, perché partecipa alla nostra natura: anch’Egli si stanca e si siede per riposarsi. In questa profonda dimensione umana, in questa perfetta comprensione della condizione dell’uomo, sta la grandezza della figura di Gesù Cristo: Gesù di Nazareth, Figlio di Dio.
E’ questo il motivo per cui il cristianesimo è veramente liberante: la coscienza, le energie, la fiducia dell’uomo, ma anche la sua stanchezza e le sue debolezze diventano parte integrante del percorso spirituale di ogni essere umano, di ognuno di noi, verso la propria santificazione.
E’ importante avere la certezza che il Signore ci capisce in tutti i momenti nei quali sperimentiamo la difficoltà quotidiana, grande o piccola che sia; questa è la nostra fede.
Dobbiamo però notare che la stanchezza di Gesù ha anche un’altra valenza, molto importante: la stanchezza di Gesù simboleggia la stanchezza del cuore di Dio che si affatica ad inseguire l’uomo, il quale fugge e si sottrae al raggio d’azione dell’Amore di Dio.
E allora soffermiamoci su un Gesù stanco.
L’evangelista Giovanni intende dire con questo che l’uomo deve prendere consapevolezza di essere l’oggetto dell’Amore di Dio.
Il Signore ci aspetta sempre, anche quando è stanco, e ci dà l’appuntamento nel luogo, in quel luogo (e ognuno di noi ha il suo luogo) in cui andiamo ad attingere ciò che ci consente di sopravvivere, di mantenere, di sviluppare, di trasmettere la vita: e questo luogo è il pozzo, il nostro pozzo, che è il luogo simbolico dell’unione, dell’incontro d’amore tra l’uomo e Dio.
Dio abita questo luogo, che è paesaggio dell’anima e che diventa la nostra vita di ogni giorno.
Il pozzo, da un punto di vista simbolico, è anche l’immagine dell’io più profondo dell’uomo.
Il fatto che Gesù si sieda presso il pozzo significa che Dio si avvicina all’uomo, alla sua essenza, al nucleo, alla sua personalità; si avvicina a ciascuno di noi.
Se lo guardiamo il Signore, adesso è seduto vicino a ciascuno di noi e ci sollecita ad istaurare con Lui un rapporto d’amore profondamente intimo: Dio si rivolge a ciascuno di noi in quanto persona ovvero in quanto essere individuale.
Il Signore parla sempre al cuore dell’uomo. A Dio non importa che questo uomo sia santo o peccatore; non gli importa che il pozzo sia ricco d’acqua o sia asciutto, che l’acqua sia limpida o inquinata. Dio si siede comunque presso il nostro pozzo e si rivolge al cuore dell’uomo perché soltanto questo gli importa: entrare in relazione profonda con l’essere umano, instaurare con lui un rapporto d’amore e chiedergli, come ha fatto con la donna, “Dammi da bere”.
Il Dio in cui crediamo, quindi, è il Dio che cerca il nostro amore. Egli è l’Onnipotente, non manca di nulla; tutto ciò che esiste è stato posto in essere per opera sua, ma Dio è povero dell’uomo. Eppure il Signore si attesta difronte all’uomo. Il rapporto di amore non può essere imposto o estorto con la forza, ma Dio continua a cercare il nostro amore.
E per concludere ecco l’ultima frase: “Maestro mangia!” gli dicevano i discepoli di ritorno dalla città, in cui si erano recati per fare provvista di cibo.
Ma Lui, Gesù, si era già sfamato, già dissetato: Lui e la donna, in quell’incontro; un incontro che a ognuno aveva lasciato qualcosa.
In lei, la donna, aveva lasciate la percezione incancellabile di aver trovato finalmente Qualcuno che le aveva letto nel più profondo del cuore e le aveva rivolto parole che erano acque zampillanti di vita nuova.
In Lui, Gesù, quell’incontro aveva lasciato la percezione che i campi, induriti per la crosta del gelo dell’inverno, già si aprissero fuori stagione alla fioritura; infatti era fiorita la donna.
“Levate i vostri occhi - diceva Gesù - e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura”.
Oh, Signore ti preghiamo: benedici tutti noi e fai in modo che anche noi abbiamo a fiorire sempre, ogni giorno, al calore della tua Parola e del tuo Amore. E così sia.
Don Enrico Vago
09 marzo, 2009
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