Computer, televisori e telefonini diventano un juke-box virtuale, collegato a canzoni da ascoltare — gratuitamente — ogni volta che si vuole. La nuova frontiera della musica digitale si chiama streaming : è legale e a costo zero (per i consumatori). Scaricare le melodie preferite da Internet per poi trascinarle su cd sta diventando un sistema vetusto, soprattutto fra gli adolescenti: è cambiata la cultura del possesso. Vinili e cd sono oggetti da collezionisti. Non si acquista più un album a occhi chiusi ma si va in negozio (forse) soltanto dopo averlo ascoltato più di una volta: su Internet, connettendosi con il computer di casa o dell’ufficio, o con il telefonino. E poi si condivide l’emozione o la scoperta creando una playlist e mettendo il file su Facebook o Twitter.
Passato l’entusiasmo si cancella la canzone e se ne ascolta un’altra. È il trionfo della musica usa e getta. Portabandiera di questa rivoluzione musicale sono i siti YouTube (per i video), MySpace e, ultimo arrivato, Spotify che assomiglierebbe al negozio online iTunes «se la Apple decidesse di offrire tutto gratis». Spotify ha sviluppato un’applicazione per consentire a chi possiede un iPhone di accedere ai suoi servizi, ma ancora non ha ricevuto l’approvazione della Apple che, invece, sta collaborando con Emi, Sony, Warner e Universal per rilanciare le vendite di album su iTunes Store. Lo ha rivelato il Financial Times annunciando che il progetto si chiamerà «Cocktail»: gli ingredienti sono una serie di contenuti aggiuntivi — libretti interattivi, videoclip, fotografie e testi delle canzoni — da accompagnare alla vendita dell’album. Il progetto, che dovrebbe concretizzarsi a settembre, punta a incentivare l’acquisto di interi album (e non di singole canzoni) via Internet. Diversa la strategia del colosso informatico Microsoft. Peter Bale, executive producer di Msn, il portale dell’azienda di Redmond, ha rivelato l’imminente lancio di un servizio streaming . Finora erano le stelle del pop e del rock che sui loro siti (o sulle pagine web di quotidiani e riviste specializzate) facevano ascoltare le nuove canzoni. A ottobre 2008 è arrivato Spotify che, gratuitamente, mette a disposizione un archivio di quattro milioni di brani. Finora ha accumulato 2 milioni di utenti.
Funziona così: si digita il titolo di una canzone o di un artista, una volta trovato si può ascoltare liberamente. «Il nostro sogno — c’è scritto sul sito — è permettere alle persone di sentire quello che vogliono, sempre e ovunque». Non si paga una sterlina per accedere a Spotify che si finanzia con la pubblicità: trenta secondi di spot seguono l’ascolto di una manciata di canzoni. Chi non volesse sottoporsi al bombardamento pubblicitario può scegliere la versione «premium » con una sottoscrizione mensile di 9.99 sterline (circa 12 euro). Ci sono rockstar ancora sorde alle potenzialità di Spotify, che paga le royalties e consente agli artisti e alle label un controllo costante sulla tutela del copyright. Impossibile, per ora, trovare registrazioni di Metallica, Beatles, Pink Floyd, AC/DC e Led Zeppelin, fra gli altri. Ma non è l’unico punto debole: Spotify, a causa di accordi commerciali con le major discografiche ancora da definire, è disponibile in Gran Bretagna e in pochi altri Paesi europei (l’Italia non è inclusa). Sta cercando di espandersi, non senza difficoltà.
Pare che l’industria discografica americana abbia chiesto delle cifre esorbitanti per permettere a Spotify di offrire i propri servizi anche negli States. Ma è possibile ovviato al problema. Farhad Manjoo, della rivista online Slate , si è collegato al sito utilizzando un proxy server, «un modo per ingannare il servizio e indurlo a pensare che vivo vicino al Big Ben, piuttosto che a San Francisco». Missione compiuta. E il giornalista ha potuto accedere a un archivio da favola, dove non si trovano soltanto le hit da classifica, ma anche rarità. Un esempio? Il demo di Spank Thru , del 1985, l’unica registrazione dello sconosciuto Kurt Cobain prima che il profeta del grunge rock raggiungesse il successo con i Nirvana. Spotify non è stato il primo, nel 2001 era stato lanciato Rhapsody con un archivio di milioni di brani ma non era gratis, costava 12.99 dollari al mese. Che sia in atto una rivoluzione musicale si riscontra nelle ricerche di mercato. In un sondaggio della società «The Leading Question» effettuato su mille britannici, il 65% degli adolescenti (14-18 anni) ha dichiarato di dedicarsi allo streaming , e il 31% ogni giorno ascolta musica dal computer collegandosi a siti dedicati. Nell’indagine meno di un terzo dei ragazzi dichiara di scaricare illegalmente la musica: il 26% a gennaio del 2009, ma nel 2007 erano il 42%.
Lo scambio di file che non rispetta il diritto d’autore per Paul Brindley, analista di Music Ally, «sta cambiando pelle e sia il governo che le major devono capirlo. Sta per essere rimpiazzato da altri mezzi di accesso alla musica gratuita. Alcuni sono autorizzati, molti altri non lo sono e altri ancora si trovano in una terra di mezzo. I ragazzi giudicano servizi come YouTube molto più adatti del filesharing tradizionale per scovare novità e rarità. Ma lo stesso YouTube potrebbe diventare un mezzo illegale di diffusione qualora si riesca a 'rapinare' il materiale protetto da copyright ». Anche gli italiani mostrano una vera passione per il video sharing e il social network musicale. I dati raccolti da Forrester Research per la Fimi (Federazione Industria Musicale Italiana) dicono che lo streaming di video musicali da YouTube rappresenta il 34% del consumo di musica online degli utenti italiani di Internet e supera la media europea che è del 30,7%. Lo streaming video è superiore al filesharing che si ferma al 23% e al download di brani legali che è inferiore al 10%. Gli italiani dominano in Europa anche per la frequentazione dei siti di social network legati agli artisti, in particolare su Facebook, con il 27,7% contro la media europea del 14,5%. È però ancora basso l’audio streaming : soltanto il 6,8%, mentre la media europea è del 12,8%. Il motivo di questo arretramento è per lo più la mancanza, per il momento, di servizi come Spotify che siano attivi anche nel nostro Paese.. La Rete offre servizi differenziati per esigenze ed età diverse. E la musica digitale diventa sempre più protagonista. Secondo i dati di mercato raccolti da Deloitte il fatturato dal download di singoli brani in Italia è cresciuto del 32% e degli album online del 24%. Complessivamente il fatturato dal digitale in Italia nel primo trimestre del 2009 è cresciuto del 30% con oltre 4,6 milioni di euro (dei quali 2,8 da Internet). E anche se lo streaming spesso non porta all’acquisto di cd, può indurre le persone a investire i soldi in altri business legati alla musica. Steve Purdham, ceo e fondatore di We7 (negozio digitale che consente anche lo streaming , visitato da due milioni di clienti ogni mese), ha raccontato al Guardian : « Possono anche non acquistare un disco ma tu gli puoi sempre vendere i biglietti per i concerti e le magliette della loro band preferita».
Tratto dal corriere della sera
Nota di chi scrive : Stufo di dirlo. Per fortuna la "musica adolescenziale" non è piu' un affare. Gli adolescenti preferiscono bere birra, giocare alla playstation e, speriamo, tirare quattro calci al pallone vero e non virtuale... Quindi è finita quella immensa miniera d'oro di falsi cantanti ( la cui promozioni costa parecchi eurini dal momento che occorre un grande sforzo x inculcare che un incapace è un genio ) che hanno fatto la fortuna dagli anni 80 in poi delle major.... Ora la gente compra ciò che vale la pena ascoltare.... Quindi l'ascolto ridiventa protagonista nella vendita e qui la major non sanno proprio come fare....
Ps
Continuate a vendere magliette che è un affare.... Le fate fare ai bimbi cinesi a 50 centesimi, li vendete a una trentina di euro e intanto i vostri cantanti sbraitano contro fame e sfruttamento......
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