La cosa a cui tengo di più tra tutto ciò che possiedo, e cioè quasi nulla, è il mio cappello. Me l'ha regalato lo zio Vlad per il mio decimo compleanno, dicendomi che apparteneva ad un uomo molto saggio e fortunato e che un giorno anch'io avrei avuto tanta saggezza e fortuna se l'avessi tenuto sempre con me. Sarà pure vero, ma per ora se ne sta lì rovesciato per terra , ospitando tre o quattro monetine che quasi si confondono coi suoi ricami grigi e dorati. Il solito fiume di gambe, pantaloni e scarpe di tutti i tipi scorre via inarrestabile. Non è mica facile stare immobili con le braccia incrociate sul petto, in ginocchio su questo pavimento lucido e freddo, ma secondo mio padre è la posizione migliore per spingere la gente a darmi qualcosa. Mi ripete anche di alzare lo sguardo solo quando vedo una moneta entrare nel cappello. Allora devo sorridere e ringraziare, anche se il più delle volte, di chi mi ha fatto la carità riesco a vedere soltanto la schiena.
Comunque, meglio stare qui che andare a fare il giro in metropolitana, dove mio padre suona il violino e i miei fratelli più piccoli passano col bicchiere mentre tutti fanno finta di leggere o si voltano dall'altra parte. Il giro dura più o meno un'ora e, se è andata bene, qualche volta andiamo a mangiare nel ristorante degli hamburger. Se anch'io sono stato abbastanza fortunato, verso sera mio padre mi lascia suonare il suo violino. E' il mio grande desiderio: diventare molto più bravo di lui, fino a che qualcuno mi darà dei soldi solo per sentirmi suonare e non perché sto inginocchiato per terra. Non mi dispiace questo posto, il vento gelido ci arriva poco, non ci sono cattivi odori e dietro quelle grosse colonne si vede la piazza della gigantesca casa di pietra, con la sua foresta di statue e le teste dei draghi che la difendono dagli spiriti maligni. Un giorno ci sono entrato da solo, mi ricordo la penombra e gli immensi vetri colorati, poi mi è venuto incontro un signore con la giacca e gli occhi scuri, mi sono spaventato e sono scappato via.
Ehi, è arrivata una moneta di quelle grandi, che valgono parecchio. A darmela è stato un vecchio, dalle mani callose e l'espressione un po' da matto, che mi ricorda il mio bisnonno morto due anni fa. Questo profumo invece, ma sì, è proprio lei, la stessa principessa che è passata ieri lasciandomi due monete. Mi riscalda ricordare quegli occhi e quel sorriso, mentre il rumore dei suoi tacchi alti si dissolve in lontananza. Ora è arrivato un mozzicone acceso, che ha sfiorato il mio cappello. Vedo un gruppo di scarpe colorate fermo di fronte a me e sento le risate cattive che si moltiplicano. Non devo alzare la testa, a costo di stringere le braccia fino a graffiarmi, tanto tra poco saranno spariti anche loro, come gli incubi che si fanno di notte. A proposito di sogni, ne ho uno , bellissimo, che viene a trovarmi tutti i giorni dopo il suono delle campane di mezzogiorno. Chiudo gli occhi e vedo un uomo vestito di bianco uscire dalla grande casa di pietra con un bastone d’'oro. Lo picchia tre volte per terra, tutti si fermano di colpo e cadono in ginocchio. Allora io mi rialzo in piedi e corro, corro libero come il vento.
di Marco Frosi ( Secondo Classificato Del Concorso ViviMilano Insessantarighe. Un'ora da raccontare )
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